Braccianti, la vita dei 30mila indiani invisibili: drogati per lavorare di più nei campi

I caporali somministrano antidolorifici e l’eroina dei poveri per non sentire la stanchezza ai braccianti

venerdì 21 giugno 2024 di Stefano Cortelletti ed Elena Ganelli
Braccianti in Italia, la vita dei 30mila indiani invisibili: drogati per lavorare di più nei campi

È la destinazione numero uno per i giovani indiani che vogliono lavorare in Italia. A Latina si registrano arrivi quasi settimanali di braccianti attirati dalle prospettive di un impiego nei campi. Nella regione del Punjab ci sono agenzie che si occupano di procurare visti e documenti. Costo: tra settemila e novemila euro. Un’enormità, visto che il reddito medio annuo in India è di circa duemila euro. La famiglia fa debiti e si vende tutto per dare una speranza a questi ragazzi. Sbarcano con una borsa e pochi indumenti, c’è qualcuno che li aspetta all’aeroporto e li accompagna in provincia di Latina, la loro America, con la speranza di costruirsi una vita migliore. Ma per molti di loro il sogno non si avvera.

Qualcuno li chiama “invisibili” ma il loro lavoro manda avanti una grossa parte del comparto agroalimentare e florovivaistico della provincia pontina. I braccianti indiani rappresentano un esercito silenzioso di lavoratori e lavoratrici che trascorrono nei campi 12, anche 14 ore al giorno. Nell’area compresa tra Latina, Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina, alle spalle di rinomate spiagge dei vip, raccolgono frutta e verdura: pomodori, in questo periodo cocomeri e zucchine, in autunno i kiwi: “l’oro verde” dell’agro pontino. Quando non raccolgono seminano, confezionano sotto il sole o all’interno delle serre. «Si lavora a meno 6 e a 40 gradi - racconta Mandeep Singh, 36 anni, ex bracciante in Italia dal 2017 - trattati malissimo, presi a parolacce, sottopagati, senza formazione o dispositivi di sicurezza. Si dimenticano che siamo persone». Ora ha lasciato i campi, cerca un lavoro dignitoso.

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COMPENSI DA FAME

L’universo dei lavoratori indiani in questa terra conta 17mila persone regolari e 12mila “fantasmi” in attesa di documenti o addirittura clandestini. Questi ultimi accettano quello che viene loro proposto: spesso non si arriva a 3 euro. Soldi fondamentali da mandare in India a sostentare la famiglia, eppure i pagamenti ritardano mesi. Uomini e donne che si arrangiano a vivere anche nei capannoni delle aziende, o in container senza acqua, spostandosi sulle biciclette lungo la Litoranea, la strada che corre alle spalle del lungomare. La comunità indiana a sud di Roma è la seconda più grande d’Italia dopo quella lombarda.

Per aumentare la produzione e ridurre i costi, ai braccianti regolari vengono affiancati i lavoratori in nero. Per sopravvivere a questi ritmi massacranti i proprietari delle aziende fanno assumere agli indiani stupefacenti e antidolorifici per inibire la sensazione di fatica e di stanchezza. Gli fanno masticare il bulbo del papaver somniferum essiccato, la “droga degli ultimi”, scarto a buon mercato della produzione dell’eroina. Uno scenario emerso da una serie di indagini condotte dalla Procura di Latina che, a partire dal 2019, hanno portato in carcere una decina di persone, principalmente indiani che gestiscono per conto di altri lo spaccio di droga. La punta dell’iceberg. Ma ci sono anche esempi virtuosi: ad Aprilia e Pontinia gli indiani giocano a cricket nei parchi per far avvicinare gli italiani alla loro cultura.

L’INFILTRATO

La vicenda di Satnam Singh dimostra come la strada per il ripristino della legalità sia ancora lunga e in salita. Lo sa bene il sociologo dell’Eurispes Marco Omizzolo, da sempre uno dei protagonisti delle battaglie al fianco dei sikh e dei braccianti dell’agro pontino, tanto da essersi infiltrato a lungo tra i lavoratori indiani arrivando fino in Punjab sulle tracce dei trafficanti di esseri umani. «Satnam non è il primo morto e non sarà l’ultimo - spiega - Ogni anno in questa area si verificano almeno 10-12 gravi incidenti sul lavoro. Vanno scritte nuove leggi per regolamentare non soltanto il mercato del lavoro ma anche le migrazioni, altrimenti continueremo a celebrare funerali. La legge esistente - prosegue - è inapplicata, chi dovrebbe verificare il rispetto delle regole non lo fa e spesso manca la volontà di portare la legalità all’interno delle aziende agricole. Eppure questi braccianti non sono invisibili: basta entrare nei campi per vederli al lavoro».

Ultimo aggiornamento: 01:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA