Ruota tutto attorno a un articolo, il 114 della Costituzione. Passa da qui la riforma che attribuisce maggiori poteri alla Capitale. Prevedendo che rientri tra gli enti che costituiscono la Repubblica, al pari di regioni, province e città metropolitane. Un ente territoriale «autonomo», ma non assimilabile agli altri esistenti, in quanto dotato di un proprio statuto e funzioni esercitate secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Su quali materie avrà potere Roma Capitale? Undici le materie individuate e su cui Roma avrà potestà legislativa: trasporto pubblico locale; polizia amministrativa locale; governo del territorio; commercio; valorizzazione dei beni culturali e ambientali; promozione e organizzazione di attività culturali; turismo; artigianato; servizi e politiche sociali; edilizia residenziale pubblica; organizzazione amministrativa di Roma Capitale. Poteri, dunque, esercitabili in quelle materie di competenza concorrente e residuale, ovvero non attribuite espressamente a Stato o regioni, secondo i limiti previsti dalla Carta.
La legge attuativa. Con il ddl costituzionale, la Capitale entrerà in Costituzione. Ma sarà una legge successiva a definirne il perimetro di effettiva autonomia, tanto finanziaria che amministrativa. Lo spiega chiaramente il secondo (e ultimo) articolo del testo. Una legge “rinforzata” che, per passare, richiederà la maggioranza assoluta dei componenti di Camera e Senato, ma anche un’interlocuzione con la Regione Lazio e l’Assemblea elettiva di Roma Capitale. Necessarie dovendo allocare funzioni che si intrecciano su più livelli. La legge servirà, non solo, a dotare Roma di uno specifico ordinamento, ma anche a «prevedere» forme di decentramento amministrativo «fissandone i principi», la cui attuazione verrà demandata alla città, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Una soluzione di compromesso raggiunta dopo il confronto con il Comune, tiepido sull’ipotesi di un decentramento di funzioni in seno ai singoli municipi. A «peculiari» condizioni di autonomia amministrativa si sommeranno anche quelle «finanziarie».
Le risorse. La legge dello Stato, quindi, dovrà prevedere le risorse necessarie a finanziare le funzioni attribuite a Roma: da maggiori poteri, in sostanza, deriveranno anche maggiori risorse. Facendo attenzione - sottolineano soprattutto dalle parti di via della Scrofa - a non gravare sull’equilibrio finanziario delle regioni, soprattutto per quegli ambiti in cui non eserciteranno più poteri. Il disegno di legge costituzionale fissa, infine, i paletti per l’entrata in vigore delle nuove norme: le funzioni attribuite a Roma Capitale saranno esercitabili a partire dalle prime elezioni dell’Assemblea di Roma Capitale successive all’entrata in vigore della legge di revisione costituzionale. Nel mentre, per evitare vuoti normativi, continuerà ad essere applicata la legislazione della regione anche sulle materie da cedere.
Il nodo autonomia. Un codicillo, inserito alla fine, guarda anche all’eventualità di «particolari forme di autonomia» che potrebbe richiedere la regione, sulla scia della riforma varata che porta la firma del ministro Roberto Calderoli. L’intesa tra Stato e Regione, «sentita Roma capitale» dovrà cercare, in questo caso, di assicurare il «coordinamento» delle rispettive funzioni. Senza, infatti, la scelta della regione di accedere all’autonomia differenziata, finirebbe per ridimensionare o, meglio, ridefinire anche gli specifici contorni di autonomia della Capitale.
Quali i prossimi step? Il prossimo passo della riforma sarà quello dell’approdo in Parlamento. Con molta probabilità a partire dalla commissione Affari costituzionali della Camera, dove è già in esame una proposta di legge sui poteri di Roma Capitale presentata da Forza Italia. Da qui partirà la corsa del disegno di legge costituzionale. Che, dovrà essere senza sosta, per riuscire a portare a termine entro il 2027 tutte e quattro le letture richieste, e diventare - a tutti gli effetti - legge.
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